Bonus per impianti di compostaggio presso centri agroalimentari

Definite le modalità di applicazione e di fruizione del credito d’imposta riconosciuto per le spese sostenute per l’installazione e messa in funzione di impianti di compostaggio presso i centri agroalimentari presenti nelle regioni Campania, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia, e approvato il modello di comunicazione con le relative istruzioni (AGENZIA DELLE ENTRATE – Provvedimento 14 marzo 2022, n. 80989)

La legge di bilancio per il 2022 ha previsto un credito d’imposta per le spese documentate, sostenute entro il 31 dicembre 2022, relative all’installazione e messa in funzione di impianti di compostaggio presso i centri agroalimentari presenti nelle regioni Campania, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia. L’agevolazione è richiesta dal gestore del centro agroalimentare purché l’impianto di compostaggio possa smaltire almeno il 70 per cento dei rifiuti organici (rifiuti biodegradabili di giardini e parchi, rifiuti alimentari e di cucina prodotti da nuclei domestici, ristoranti, uffici, attività all’ingrosso, mense, servizi di ristorazione e punti vendita al dettaglio e rifiuti equiparabili prodotti dagli impianti dell’industria alimentare) prodotti dal medesimo centro agroalimentare (articolo 1, commi da 831 a 834, della legge 30 dicembre 2021, n. 234).
Il credito d’imposta è attribuito nella misura del 70 per cento delle spese documentate, rimaste a carico del contribuente, sostenute entro il 31 dicembre 2022.
L’agevolazione si applica nel rispetto delle condizioni e dei limiti previsti dal regolamento (UE) n. 1407/2013 della Commissione, del 18 dicembre 2013, relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea agli aiuti “de minimis”.
Il provvedimento in oggetto definisce le modalità di applicazione e di fruizione del credito d’imposta, al fine del rispetto del limite di spesa pari a 1 milione di euro per l’anno 2023, e approva il modello di Comunicazione, con le relative istruzioni, da presentare all’Agenzia delle entrate per beneficiare del credito d’imposta.
In particolare, è previsto che la Comunicazione delle spese sostenute sia effettuata nell’anno 2023, nei termini che saranno definiti con successivo provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate. Tenuto conto dell’esigenza espressa dal legislatore di garantire il rispetto del limite di spesa, dopo aver ricevuto le comunicazioni degli importi, l’Agenzia determina la quota percentuale del credito effettivamente fruibile, in rapporto alle risorse disponibili. La suddetta percentuale sarà resa nota con successivo provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, da emanare entro 10 giorni dalla scadenza dei termini di presentazione.
Al fine di consentire all’Agenzia delle entrate la verifica del rispetto limite di spesa, il credito d’imposta è utilizzabile dai beneficiari esclusivamente in compensazione.

Deducibilità contributi recuperati dall’Inps per indebita applicazione massimale contributivo

L’Agenzia deIle Entrate ha chiarito che i contributi previdenziali pregressi per indebita applicazione del massimale contributivo, recuperati dall’Inps con diffida nei confronti dell’ex datore di lavoro, sono deducibili nel periodo d’imposta in cui sono effettivamente rimborsati all’ex datore di lavoro. L’onere può essere documentato dalla CU rilasciata dall’ex datore di lavoro con l’inserimento di un’annotazione a contenuto libero con il codice ZZ (Risposta 15 marzo 2022, n. 117).

Il caso esaminato dall’Agenzia delle Entrate riguarda la deducibilità dei contributi pregressi dovuti per indebita applicazione del massimale contributivo, recuperati dall’Inps nei confronti dell’ex datore di lavoro mediante diffida per omissione contributiva.
Nella fattispecie, l’omissione è stata determinata dalla mancata comunicazione al datore di lavoro dell’esistenza di periodi utili o utilizzabili ai fini dell’anzianità contributiva antecedenti il 1° gennaio 1996 (versamenti contributivi figurativi per il servizio di leva).
Le norme in materia previdenziale infatti prevedono l’applicazione di un massimale annuo della base contributiva e pensionabile per i lavoratori che si iscrivono a forme pensionistiche obbligatorie a far data dal 1°gennaio 1996 (cd. “nuovi iscritti”) e privi di anzianità contributiva precedente. Per coloro che vantano anzianità contributiva già maturata in forme pensionistiche obbligatorie entro il 31 dicembre 1995 (cd. “vecchi iscritti”), il citato massimale annuo non trova applicazione con la conseguenza che l’intera retribuzione imponibile viene assoggettata a contribuzione previdenziale. A tal fine il lavoratore è tenuto a comunicare al datore di lavoro la propria posizione previdenziale.

L’Agenzia delle Entrate ha osservato che la maggior quota contributiva a carico del contribuente, derivante dall’erronea applicazione del massimale contributivo, che lo stesso è tenuto a restituire all’ex datore di lavoro, costituisce sostanzialmente un’integrazione di contributi obbligatori per legge, a suo tempo non versati.
Pertanto rientrano tra i “contributi previdenziali ed assistenziali versati in ottemperanza a disposizioni di legge” che le disposizioni in materia di IRPEF annoverano tra gli oneri deducibili dal reddito complessivo, ai fini della determinazione della base imponibile ai fini IRPEF.
L’Agenzia delle Entrate precisa che detti oneri si deducono secondo il criterio di cassa. Pertanto, ai fini della deducibilità, occorre fare riferimento al periodo di imposta in cui il lavoratore (contribuente) rimborsa tali oneri all’ex datore di lavoro e non all’annualità in cui l’ex datore di lavoro è stato chiamato a versare (ed ha versato) la maggior quota contributiva a carico del dipendente regolarizzando le omissioni contributive obbligatorie.
I contributi in questione, pertanto, vanno indicati nel rigo della dichiarazione dei redditi dedicato ai “Contributi previdenziali e assistenziali” relativa al periodo d’imposta in cui tali contributi sono restituiti all’ex datore di lavoro (Rigo E21).
Secondo l’Agenzia delle Entrate, il sostenimento dell’onere può essere documentato mediante una certificazione unica (CU) rilasciata dall’ex datore di lavoro che attesti le somme oggetto di deduzione con l’inserimento di un’annotazione a contenuto libero (con il codice ZZ).

Terzo Settore: regime di incompatibilità tra volontario e rapporto di lavoro

In attuazione della disciplina del codice del Terzo Settore, forniti chiarimenti sul regime di incompatibilità tra volontario e rapporto di lavoro (Ministero del lavoro e delle politiche sociali – Nota 10 marzo 2022, n. 4011).

Nello specifico, è stato chiesto se il rapporto di lavoro intercorrente tra un determinato soggetto e un Comitato Regionale sia o meno compatibile con l’attività che il medesimo soggetto svolga in qualità di volontario presso (un ente di base) o un Comitato Regionale di diversa Regione appartenente alla medesima rete nazionale, considerata la distinzione esistente tra il datore di lavoro e l’ente presso il quale il volontario opera e la reciproca autonomia.
L’articolo 17 comma 5 del Codice del Terzo settore sancisce il principio della incompatibilità della qualità di volontario con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato e con ogni altro rapporto di lavoro retribuito con l’ente di cui il volontario è socio o associato o tramite il quale svolge la propria attività volontaria, prevedendo altresì una deroga limitata alla legislazione delle province autonome di Trento e Bolzano di cui all’integrazione apportata dall’articolo 5 comma 1, lett. a) del d.lgs. 105/2018.
La previsione ha quindi portata ampia e generalizzata, come si evince dal tenore generale della stessa, che fa riferimento a “qualsiasi rapporto di lavoro” e ricomprende anche le entità tramite le quali il socio o associato svolge la propria attività di volontario. Essa va coerentemente rapportata al più ampio inquadramento fornito dai commi 2 e 3 dello stesso articolo 17, secondo cui nel definire il volontario viene innanzitutto evidenziato quale requisito caratterizzante quello della libera scelta, della personalità, spontaneità, gratuità e dell’assenza di finalità di lucro, neanche indirette; in secondo luogo, si prescrive che l’attività del volontario non può essere retribuita in alcun modo, vietando altresì rimborsi spese di tipo forfetario.
Tali prescrizioni rispondono alla finalità di valorizzare la libera scelta della persona come consapevole, informata e non condizionata da uno stato di bisogno, onde preservare la genuinità dell’attività tipica di volontariato, finalizzata a soddisfare bisogni altrui che vadano a beneficio della comunità e del bene comune e non di interessi specifici o di parte, sicché l’attività di volontariato esula da qualunque vincolo di natura obbligatoria. Il volontario deve potersi sentire sempre libero di recedere dalla propria scelta, revocando in qualsiasi momento la disponibilità dimostrata, senza condizioni o penali, poiché la sua attività risponde esclusivamente ad un vincolo morale. Al contempo, infine, il citato articolo 17 comma 5 intende assicurare una tutela del lavoratore da possibili abusi legati ad attività che non rispondono alle caratteristiche sopra delineate della volontarietà.
Le disposizioni sopra richiamate devono essere poste in relazione con la profilazione organizzativa in cui ciascuna delle entità componenti di una struttura complessa come una rete associativa o un analogo ente associativo di secondo livello sono caratterizzati, anche sotto il profilo statutario, da autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale e operativa.
Quanto sopra considerato, sotto il profilo formale non appare ravvisabile una situazione di contrarietà della situazione prospettata nel quesito rispetto al dettato dell’art. 17, comma 5 del Codice del Terzo settore, considerato che l’ente datore di lavoro e l’ente che si avvale dell’operato volontario, con riferimento alla medesima persona, risultano a tutti gli effetti soggetti distinti e separati.

“Dopo di noi”: nessuna esclusione dall’esenzione per gli atti mortis causa

Il conferimento di beni al fondo speciale, costituito esclusivamente a favore della figlia con grave disabilità, secondo le previsioni della legge “Dopo di noi”, è esente dall’imposta sulle successioni e donazioni, anche nel caso in cui tale destinazione è disposta con atto mortis causa in sede di successione (Agenzia Entrate – risposta 11 marzo 2022, n. 103).

La L. n. 112/2016 è volta ad agevolare disabilità gravi prive del sostegno familiare e le erogazioni da parte di soggetti privati, la stipula di polizze di assicurazione e la costituzione di trust, di vincoli di destinazione di cui all’art. 2645-ter c.c. e di fondi speciali, composti di beni sottoposti a vincolo di destinazione e disciplinati con contratto di affidamento fiduciario  in favore di persone con disabilità grave.
L’art. 6, co. 1 della medesima legge prevede che i beni e i diritti conferiti in trust ovvero gravati da vincoli di destinazione ovvero destinati a fondi speciali, istituiti in favore delle persone con disabilità grave, sono esenti dall’imposta sulle successioni e donazioni prevista dall’art. 2, co. da 47 a 49, D.L. n. 262/2006.
Ai sensi del comma 2 le esenzioni e le agevolazioni sono ammesse a condizione che il trust ovvero i fondi speciali ovvero il vincolo di destinazione perseguano come finalità esclusiva l’inclusione sociale, la cura e l’assistenza delle persone con disabilità grave, in favore delle quali sono istituiti.
Le esenzioni e le agevolazioni disposte nello stesso articolo 6 sono ammesse se sussistono, inoltre, congiuntamente, anche tutte le ulteriori condizioni richieste dalla legge ed indicate nel prosieguo dell’articolo 6.
Detto questo, il caso di specie riguarda un contribuente intenzionato, congiuntamente al proprio coniuge, a costituire un “fondo speciale” disciplinato da un contratto di affidamento fiduciario, avente come beneficiaria esclusiva la figlia affetta da disabilità grave, avvalendosi delle disposizioni agevolative di cui alla predetta legge.
L’Agenzia delle Entrate ha precisato che risulta applicabile l’esenzione dall’imposta sulle successioni e donazioni prevista dall’art. 6, L. n. 112/2016, anche nel caso in cui tale destinazione sia effettuata con un atto mortis causa mediante il quale il contribuente e il coniuge, in sede di successione, dispongano a favore del predetto fondo speciale.
Tale soluzione tiene conto del dato testuale dell’art. 6 che richiama genericamente i beni e i diritti conferiti in trust ovvero gravati da vincoli di destinazione di cui all’art. 2645-ter c.c. ovvero destinati a fondi speciali senza specificare quali siano gli atti con cui tali conferimenti o destinazioni debbano essere effettuati.
Conseguentemente, in assenza di una esplicita esclusione per gli atti mortis causa, è possibile applicare tale esenzione, indipendentemente dal fatto che si tratti di atti tra vivi o a causa di morte, e pertanto anche ai conferimenti e destinazioni attuate mediante atti mortis causa, ferme restando tutte le altre prescrizioni indicate dalla norma in esame.

Licenziamento: concetto di “retribuzione globale di fatto”

Nel concetto di retribuzione globale di fatto va ricompreso solo il compenso che il lavoratore percepisce in conseguenza del normale svolgimento di una prestazione, dovendosi escludere quelli aventi carattere occasionale o eccezionale.

La nozione di “retribuzione globale di fatto” non possa che rimandare a quella che il lavoratore avrebbe ricevuto se avesse lavorato, con esclusione dei compensi eventuali, di cui non sia certa la percezione, di quelli legati a particolari modalità di svolgimento della prestazione stessa ed aventi carattere occasionale o eccezionale.
Il concetto di “retribuzione globale di fatto” rinvia sinallagmaticamente al compenso che il lavoratore percepisce in conseguenza del “normale” svolgimento di una prestazione, senza che possano quindi essere valorizzate ulteriori indennità connesse non all’attività lavorativa svolta, ma ad altri parametri (per esempio, rimborso per oneri di trasferimento, di sede, etc.), emolumenti volti a compensare non la maggiore gravosità/difficoltà della prestazione, ma altri disagi, come – ad esempio – quelli connessi al trasferimento, ai viaggi, alla locazione di un immobile nel nuovo luogo di lavoro, etc. Conclusivamente, nel concetto di retribuzione globale di fatto vanno ricomprese solo le poste retributive e nemmeno tutte, dovendosi, come detto, escludersi quelle aventi carattere occasionale o eccezionale.
Esclusa la natura corrispettiva e retributiva dell’indennità estera, infatti, deve escludersene la computabilità nella retribuzione globale di fatto.
A tal riguardo, sovviene l’orientamento prevalente in materia della Corte di Cassazione, che ha negato la natura retributiva dell’indennità di servizio estero in quanto finalizzata a sopperire agli oneri derivanti dalla permanenza nella sede straniera.
Pertanto, negata la natura corrispettiva quindi retributiva dell’indennità in parola, ne va esclusa la rilevanza al fine della commisurazione del parametro risarcitorio in discussione (Ordinanza dell’11 marzo 2022, n. 8040).

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