Superbonus e requisito di ”abitazione principale”

L’Agenzia delle entrate ha fornito chiarimenti, in materia di Superbonus, riguardo al momento rilevante per la verifica del rispetto del requisito di destinazione ad ”abitazione principale” di un’unità immobiliare unifamiliare oggetto di un intervento di demolizione e ricostruzione (Agenzia delle entrate, risposta 10 luglio 2023, n. 377).

La richiesta di chiarimenti proviene da un contribuente che intende effettuare un intervento di demolizione e ricostruzione avvalendosi del Superbonus su di immobile acquistato, fruendo dell’agevolazione c.d. ”prima casa”, accatastato in categoria A/3 ma inagibile.

 

In merito alle condizioni previste dalla normativa per accedere al Superbonus, l’istante risulta:

– essere titolare di diritto di proprietà sull’unità immobiliare;

– avere un reddito di riferimento, determinato ai sensi del comma 8bis.1 dell’articolo 119 del Decreto Rilancio, non superiore a 15.000 euro.

 

A causa dell’inagibilità non risulta, però, soddisfatto il requisito della residenza nell’immobile, che potrà avvenire solo al termine dei lavori di demolizione e ricostruzione.

Al riguardo, l’Agenzia delle entrate ricorda che, ai sensi dell’articolo 9, comma 1, lettera a), numero 3), del Decreto Aiuti-quater che ha  modificato il comma 8­bis dell’articolo 119 del Decreto Rilancio, per gli interventi avviati a partire dal 1° gennaio 2023 su unità immobiliari dalle persone fisiche al di fuori dell’esercizio di un’attività d’impresa, arti e professioni, il Superbonus spetta nella misura del 90% delle spese sostenute entro il 31 dicembre 2023, a condizione che il contribuente sia titolare di diritto di proprietà o di diritto reale di godimento sull’unità immobiliare, che la stessa unità immobiliare sia adibita ad abitazione principale e che il contribuente abbia un reddito di riferimento non superiore a 15.000 euro.

 

Già con la circolare n. 13/E/2023 l’Agenzia ha avuto modo di chiarire che la verifica del rispetto dei predetti requisiti costituisce una novità dell’attuale disciplina del Superbonus e riguarda soltanto gli interventi iniziati a partire dal 1° gennaio 2023.

In tale circolare si precisa che per interventi avviati dal 1° gennaio 2023 devono intendersi, in linea generale, gli interventi per i quali la comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA) sia stata presentata a decorrere dalla predetta data e la cui data di inizio lavori, indicata nella medesima CILA, sia successiva al 31 dicembre 2022. Possono rientrare, inoltre, nella nuova disciplina anche gli interventi per i quali la presentazione della CILA sia antecedente al 1° gennaio 2023, purché il contribuente dimostri che i lavori abbiano avuto inizio a decorrere dall’anno 2023, circostanza che può essere documentata dalla data di inizio lavori indicata nella CILA o anche mediante un’autocertificazione resa dal direttore dei lavori.

 

La suddetta circolare chiarisce che per abitazione principale si intende quella nella quale la persona fisica, che la possiede a titolo di proprietà o altro diritto reale, o i suoi familiari dimorano abitualmente e che, al fine della fruizione del Superbonus, qualora non fosse possibile soddisfare il requisito della destinazione dell’unità immobiliare ad abitazione principale fin dall’inizio dei lavori, basterebbe che il medesimo immobile fosse adibito ad abitazione principale al termine degli stessi.

 

Pertanto, conclude l’Agenzia, l’istante potrà fruire del Superbonus nella misura del 90% delle spese sostenute dal 1° gennaio al 31 dicembre 2023, a condizione che l’immobile di proprietà oggetto degli interventi agevolabili sia adibito ad abitazione principale al termine degli interventi medesimi.

Rottamazione-quater: compensazione non ammessa per il pagamento delle somme dovute

L’Agenzia delle entrate ha chiarito che non è possibile utilizzare i crediti IVA nè i crediti commerciali in compensazione ”orizzontale” per il pagamento dei debiti che risultano dall’adesione alla definizione agevolata (Agenzia entrate, risposta 7 luglio 2023, n. 372).

L’articolo 1, comma 232, della Legge n. 197 del 2022 stabilisce che il pagamento delle somme dovute a seguito di adesione alla definizione agevolata dei debiti tributari risultanti dai carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 30 giugno 2022 (c.d. Rottamazione-quater) va effettuato in unica soluzione, entro il 31 ottobre 2023, ovvero nel numero massimo di diciotto rate.

Tale pagamento può essere effettuato:

 

– mediante domiciliazione sul conto corrente eventualmente indicato dal debitore con le modalità determinate dall’agente della riscossione nella comunicazione inviata entro il 30 settembre 2023 dall’Agenzia delle entrate;

– mediante moduli di pagamento precompilati, che l’agente della riscossione è tenuto ad allegare alla suddetta comunicazione;

– presso gli sportelli dell’agente della riscossione.

 

Ai fini del valido perfezionamento della definizione in parola, il pagamento va eseguito esclusivamente con le modalità enucleate dal comma 242, che non contemplano il versamento e la compensazione tramite Modello F24 disciplinate dall’articolo 17 del decreto legislativo n. 241 del 1997.

 

Anche il comma 12 dell’articolo 3 del decreto-legge n. 119/2018, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 136/2018 (cd. ”rottamazione-ter”) reca una formulazione ”in parte” analoga al comma 242 dell’articolo 1 della Legge n. 197/2022 e prevede a sua volta che il pagamento delle somme dovute per la definizione si possa effettuare:

 

a) mediante domiciliazione sul conto corrente eventualmente indicato dal debitore nella dichiarazione;

b) mediante bollettini precompilati, che l’agente della riscossione è tenuto ad allegare alla comunicazione;

c) presso gli sportelli dell’agente della riscossione.

 

La circolare n. 25/E/2020 dell’Agenzia chiarisce, inoltre, che non essendo prevista espressamente la modalità di assolvimento del debito risultante dalla dichiarazione di adesione alla rottamazione-ter con modalità diverse da quelle richiamate dalle citate lettere da a) a c), lo stesso non può essere compensato con il credito d’imposta derivante dalle spese sostenute per interventi di efficientamento energetico.

Tra l’altro, la lettera c) del comma 242 dell’articolo 1 della Legge di Bilancio 2023 non contempla alcun richiamo alla disciplina in tema di compensazione dei crediti ”commerciali” vantati nei confronti delle pubbliche amministrazioni con le somme dovute a seguito di iscrizione a ruolo, introdotta dall’articolo 12, comma 7bis, del decreto-legge, n. 145/2013.

 

In conclusione, riguardo al caso di specie, l’Agenzia afferma che l’istante non potrà utilizzare il proprio credito IVA, né i crediti ”commerciali” di cui eventualmente dispone, per pagare gli importi dovuti per il valido perfezionamento della c.d. rottamazione-quater di cui intende avvalersi.

 

Tassazione del legato di genere ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni

L’Agenzia delle entrate ha fornito chiarimenti in merito al trattamento fiscale del legato di genere ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni (Agenzia delle entrate,  circolare 6 luglio 2023, n. 19/E).

Il legato di genere rappresenta un legato obbligatorio avente ad oggetto la prestazione di cose designate secondo l’appartenenza ad un genere, che attribuisce al legatario (onorato) un diritto di credito nei confronti di un erede o di un altro legatario (onerato), il quale deve adempiere prestando beni corrispondenti per qualità e quantità alle indicazioni del testatore.

In particolare, il legato pecuniario, che ha ad oggetto una somma di denaro disposta dal testatore a carico di uno o più eredi, costituisce una disposizione mortis causa, a titolo particolare, attributiva di specifici diritti patrimoniali.

 

Si distinguono, ai sensi degli articoli da 649 a 673 c.c., tra:

legato di specie, che ha per oggetto la proprietà di una cosa determinata o altro diritto appartenente al testatore;

legato di genere (o di cosa genericamente determinata), che ha per oggetto una cosa determinata solo nel genere.

 

Nel primo caso la proprietà o il diritto si trasmette dal testatore al legatario al momento della morte del testatore (legato c.d. obbligatorio); nel secondo caso l’onerato è tenuto ad una prestazione a favore del legatario, che, invece, acquista un diritto di credito nei confronti dell’onerato (legato c.d. obbligatorio).

 

L’articolo 8 del Testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni (D.Lgs. n. 346/1990) prevede che il valore globale netto dell’asse ereditario è costituito dalla differenza tra il valore complessivo, alla data dell’apertura della successione, dei beni e dei diritti che compongono l’attivo ereditario e l’ammontare complessivo delle passività deducibili e degli oneri diversi da quelli indicati nell’art. 46, comma 3, e che il valore dell’eredità o delle quote ereditarie è determinato al netto dei legati e degli altri oneri che le gravano.

L’articolo 36 del TUS prevede, inoltre, gli eredi sono obbligati solidalmente al pagamento dell’imposta dovuta da loro e dai legatari, che a loro volta sono obbligati al pagamento dell’imposta relativa ai rispettivi legati.

 

L’Agenzia, dunque, sul piano civilistico, chiarisce che nel caso di disposizione mortis causa avente ad oggetto un legato di genere di cui risulta onerato un erede:

  • quest’ultimo, a seguito dell’accettazione dell’eredità, è tenuto ad una prestazione a favore del legatario; inoltre, a seguito dell’adempimento del legato, subisce un decremento patrimoniale corrispondente al legato stesso;

  • il legatario, invece, acquista un diritto di credito nei confronti dell’erede onerato.

Sul piano fiscale, invece, in considerazione della distinzione civilistica tra legato di genere e legato di specie, il legato di genere, in quanto debito dell’erede, non viene allo stato decurtato dal valore dell’eredità o delle quote ereditarie.

 

In conclusione, poiché le modalità di tassazione del legato di genere possono risultare in violazione del principio di “giusta imposizione” e tenuto conto del fatto che l’articolo 8, comma 3, del TUS dispone espressamente che il valore dell’eredità o delle quote ereditarie è determinato al netto dei legati, l’Agenzia afferma che è coerente determinare l’eredità o le quote ereditarie al netto dei legati, indipendentemente dalla tipologia degli stessi.

Più precisamente, ferma restando la distinzione civilistica fra legato di genere e legato di specie, in sede di liquidazione dell’imposta di successione, il valore del legato di genere, al pari di quello di specie, va dedotto dal valore dell’eredità o delle quote ereditarie.

 

Definizione agevolata controversie tributarie: approvati nuovo modello e istruzioni

L’Agenzia delle entrate ha comunicato l’approvazione del nuovo modello per chiudere in via agevolata le controversie con il fisco e i nuovi termini per la domanda e per i pagamenti a rate (Agenzia delle entrate, provvedimento 5 luglio 2023, n. n. 250755).

Possono essere definite in via agevolata le controversie pendenti attribuite alla giurisdizione tributaria, in cui è parte l’Agenzia delle entrate, al 1° gennaio 2023 in ogni stato e grado del giudizio.

Si considerano pendenti le liti il cui atto introduttivo del giudizio in primo grado sia stato notificato alla controparte entro il 1° gennaio di quest’anno e per le quali, alla data di presentazione della domanda, il processo non si sia concluso con pronuncia definitiva.

 

In attuazione dell’articolo 20 del D.L. n. 34/2023 (Decreto Bollette), così come modificato in sede di conversione dalla Legge 26 maggio 2023, n. 56, l’Agenzia delle entrate ha approvato l’aggiornamento del modello di domanda per tale definizione agevolata, ai sensi dell’articolo 1, commi da 186 a 202, della Legge n. 197/2022.

 

In particolare, il suddetto articolo 20 posticipa al 30 settembre 2023 il termine per la presentazione della domanda di definizione agevolata e, in caso di opzione per il pagamento rateale degli importi dovuti per la definizione, modifica le date entro cui effettuare il versamento delle prime tre rate. La norma introduce, inoltre, dopo il pagamento delle prime tre rate, in alternativa alla rateazione trimestrale, la possibilità di versare le somme dovute in 51 rate mensili a decorrere dal mese di gennaio 2024.

 

Dunque, chiarisce l’Agenzia, per ciascuna controversia tributaria autonoma, ossia relativa al singolo atto impugnato, va presentata una distinta domanda di definizione, esente dall’imposta di bollo, mediante trasmissione telematica, entro il termine del 30 settembre 2023.

Il termine per il pagamento dell’importo netto dovuto o della prima rata scade il 30 settembre 2023. Nel caso in cui gli importi dovuti superino l’ammontare di 1000 euro è ammesso il pagamento rateale.

 

Il pagamento rateale dell’importo da versare per la definizione può avvenire:

  • in un massimo di 20 rate di pari importo con una rateizzazione, per le rate successive alle prime tre, trimestrale;

  • in un numero massimo di 54 rate di pari importo con una rateizzazione, per le rate successive alle prime tre, mensile.

Il calendario dei versamenti delle prime tre rate, comuni ad entrambe le opzioni di rateizzazione, è il seguente:

– 30 settembre 2023, prima rata;

– 31 ottobre 2023, seconda rata;

– 20 dicembre 2023, terza rata.

 

Qualora il contribuente opti per il sistema di rateizzazione trimestrale, il pagamento in un massimo di 17 rate, successive alle prime tre, è effettuato entro il 31 marzo, il 30 giugno, il 30 settembre e il 20 dicembre di ciascun anno.

Nel caso in cui, invece, il contribuente opti per il sistema di rateizzazione mensile, il pagamento in un massimo di 51 rate, successive alle prime tre, scade l’ultimo giorno lavorativo di ciascun mese, a decorrere dal mese di gennaio 2024, fatta eccezione per il mese di dicembre di ciascun anno, per il quale il termine di versamento resta fissato al giorno 20 del mese.

Gli interessi legali per le rate successive alla prima sono dovuti a decorrere dalla data del versamento della prima rata.

Convenzione Italia-Svizzera: trasferimento di residenza in corso d’anno e tassazione dei redditi

L’Agenzia delle entrate ha fornito chiarimenti riguardo alla tassazione dei redditi da lavoro dipendente da applicare ai sensi della Convenzione contro le doppie imposizioni in vigore tra l’Italia e la Svizzera in caso di trasferimento di residenza in corso d’anno (Agenzia delle entrate, risposta 4 luglio 2023, n. 370).

L’articolo 2, comma 2, del TUIR considera fiscalmente residenti in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d’imposta, cioè per almeno 183 giorni, o 184 giorni in caso di anno bisestile, sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile. Tali condizioni sono tra loro alternative e la sussistenza anche di una sola di esse per la maggior parte del periodo d’imposta è sufficiente a far ritenere che un soggetto sia qualificato, ai fini fiscali, residente in Italia. Inoltre, ai sensi del comma 2bis dell’articolo 2 del TUIR, si considerano comunque residenti, salvo prova contraria, anche i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, individuati con Decreto Ministeriale 4 maggio 1999.  Tale comma 2bis non ha creato un ulteriore status di residenza fiscale bensì, attraverso l’introduzione di una presunzione legale relativa, ha diversamente ripartito l’onere probatorio fra le parti, ponendolo a carico dei contribuenti trasferiti, al fine di evitare che le risultanze di ordine meramente formale prevalgano sugli aspetti sostanziali.

 

Secondo la circolare del MEF del 24 giugno 1999, n. 140, la residenza fiscale è ritenuta, in via presuntiva, sussistente per coloro che siano anagraficamente emigrati in uno degli anzidetti Stati o territori senza dimostrare l’effettività della nuova residenza.

A riguardo, l’Agenzia chiarisce che, anche a seguito della formale iscrizione all’AIRE, nei confronti di cittadini italiani trasferiti in Svizzera continua a sussistere una presunzione relativa di residenza fiscale in Italia per effetto dell’articolo 2, comma 2bis, del TUIR, in quanto la Svizzera è inserita nella lista degli Stati e territori aventi un regime fiscale privilegiato di cui al Decreto Ministeriale 4 maggio 1999.

 

Ciò posto, in riferimento al caso di specie nel quale una contribuente dichiara di essersi trasferita dall’Italia in Svizzera in corso d’anno, l’Agenzia ritiene di poterla considerare residente in Italia, in quanto iscritta nelle anagrafi della popolazione residente per la maggior parte del periodo d’imposta considerato.

Tenendo presente il principio della prevalenza del diritto convenzionale sul diritto interno, l’Agenzia delle entrate osserva che, qualora in applicazione delle rispettive normative interne l’istante dovesse essere considerata fiscalmente residente sia in Svizzera sia in Italia in corso d’anno, si farà riferimento alle disposizioni contenute nella Convenzione contro le doppie imposizioni in vigore tra la Svizzera e l’Italia.

Tale Convenzione stabilisce all’articolo 4, paragrafo 2, conformemente al Modello OCSE di Convenzione, le c.d. tie breaker rules per dirimere eventuali conflitti di residenza tra tali Stati contraenti, secondo le quali prevale il criterio dell’abitazione permanente cui seguono, in ordine gerarchico, il centro degli interessi vitali, il soggiorno abituale e la nazionalità del contribuente.

La Convenzione, inoltre, reca una disposizione che prevede esplicitamente la soluzione al problema della doppia residenza mediante il frazionamento del periodo d’imposta, in caso di trasferimento da uno Stato all’altro nel corso del medesimo periodo d’imposta. In particolare, l’articolo 4, paragrafo 4, stabilisce che la persona fisica che trasferisce definitivamente il suo domicilio da uno Stato contraente all’altro cessa di essere assoggettata nel primo  Stato alle imposte per le quali il domicilio è determinante, non appena trascorso il giorno del trasferimento del domicilio e l’assoggettamento inizia nell’altro Stato a decorrere dalla stessa data.

 

In conclusione l’Agenzia, nella fattispecie in esame, poiché il trasferimento definitivo del domicilio dell’istante in Svizzera è avvenuto nel corso dell’anno, ritiene che l’assoggettamento ad imposizione in Italia del reddito debba avvenire fino al giorno del trasferimento definitivo, mentre a partire dal giorno successivo a quello del trasferimento della sede principale degli affari e degli interessi della contribuente in Svizzera, l’amministrazione italiana non può più esercitare nessuna pretesa impositiva sui redditi prodotti ed essi non dovranno essere inseriti nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno d’imposta in corso.