Risarcimento del danno e disciplina CFC

Il principio di diritto n. 4/2025 dell’Agenzia delle entrate si concentra sulla rilevanza di un risarcimento del danno ai fini dell’applicazione della disciplina relativa alle Controlled Foreign Companies (CFC).

La normativa in materia di CFC è regolata dall’articolo 167 del TUIR, il quale è stato modificato dall’articolo 4 del decreto legislativo n. 142/2018 (che ha recepito la Direttiva (UE) 2016/1164, nota come ATAD) e, più recentemente, dall’articolo 3 del decreto legislativo n. 209/2023 (Decreto fiscalità internazionale).
La finalità principale della normativa CFC è quella di prevenire che soggetti residenti in Italia, con società controllate situate in Paesi a fiscalità privilegiata, possano attuare pratiche di pianificazione fiscale aggressiva trasferendo ingenti utili dalla società controllante (soggetta ad alta fiscalità) alle società controllate (soggette a tassazione ridotta).

A tal fine, la disciplina CFC prevede un meccanismo di imputazione per trasparenza al soggetto residente in Italia dei redditi conseguiti dal soggetto controllato non residente, anche in assenza di un’effettiva distribuzione di utili, qualora quest’ultimo sia assoggettato a tassazione privilegiata.

 

Come evidenziato nella circolare dell’Agenzia n. 18/E/2021, i regimi CFC, inizialmente concepiti con una finalità anti-differimento dell’imposizione (”anti­deferral”), hanno assunto una connotazione più marcatamente “antiabuso”. 

 

L’operatività della normativa CFC, ai sensi dell’articolo 167 del TUIR, è subordinata al verificarsi congiunto di tre condizioni:

  • controllo, di diritto o economico, dell’entità estera, da parte di un soggetto residente in Italia;
  • assoggettamento dell’entità estera controllata ad un livello di tassazione effettiva non congruo;
  • realizzazione, da parte dell’entità estera controllata, di proventi rientranti nelle categorie di passive income menzionate nella stessa disposizione, per oltre un terzo dei proventi complessivi.

In merito all’ultima condizione, l’Agenzia ritiene che il risarcimento del danno, conseguito sulla base di un accordo transattivo a seguito dell’interruzione di un’attività economica effettiva imputabile alla controparte, non possa essere ascritto ai passive income di cui al citato articolo 167, comma 4, lettera b), del TUIR.

 

L’articolo 167 elenca specificamente le categorie di proventi che costituiscono passive income ai fini CFC:

1) interessi o qualsiasi altro reddito generato da attivi finanziari;
2) canoni o qualsiasi altro reddito generato da proprietà intellettuale;
3) dividendi e redditi derivanti dalla cessione di partecipazioni;
4) redditi da leasing finanziario;
5) redditi da attività assicurativa, bancaria e altre attività finanziarie;
6) proventi derivanti da operazioni di compravendita di beni con valore economico aggiunto scarso o nullo, effettuate con soggetti che, direttamente o indirettamente, controllano il soggetto controllato non residente, ne sono controllati o sono controllati dallo stesso soggetto che controlla il soggetto non residente;
7) proventi derivanti da prestazioni di servizi, con valore economico aggiunto scarso o nullo, effettuate a favore di soggetti che, direttamente o indirettamente,
controllano il soggetto controllato non residente, ne sono controllati o sono controllati dallo stesso soggetto che controlla il soggetto non residente.

In particolare, l’Agenzia osserva che un risarcimento volto a ristorare il pregiudizio conseguente alla preclusa possibilità di esercitare l’attività imprenditoriale per cui la controllata estera era stata costituita e per il sostenimento inutile di rilevanti spese finalizzate all’avviamento dell’attività, non risulta riconducibile ad alcuna delle singole tipologie di proventi individuate dalla Direttiva ATAD e recepite nell’ordinamento italiano dall’articolo 167, comma 4, lettera b), del TUIR.

Di conseguenza, non si ravvisano i presupposti applicativi della disciplina CFC, anche con riferimento alla condizione del conseguimento, per oltre un terzo dei proventi complessivi, di passive income elencati dall’articolo 167, comma 4, lettera b) del TUIR.

Imposta sostitutiva per frontalieri: il codice tributo

Istituito nuovo codice tributo per il versamento dell’imposta sostitutiva dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e delle addizionali regionali e comunali, sui redditi da lavoro dipendente percepiti in Svizzera dai lavoratori frontalieri, da versare tramite modello F24 (Agenzia delle entrate, risoluzione 10 aprile 2025, n. 27/E).

L’articolo 6 del D.L. n. 113/2024 ha introdotto significative novità per i lavoratori dipendenti residenti in specifici comuni italiani e frontalieri che percepiscono redditi in Svizzera. A partire dal periodo d’imposta 2024, questi lavoratori hanno la possibilità di optare per l’applicazione di una imposta sostitutiva dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e delle addizionali regionali e comunali, pari al 25% delle imposte applicate in Svizzera sugli stessi redditi.

 

Il comma 3 del medesimo articolo 6 prevede che tale opzione venga esercitata dal contribuente nella dichiarazione dei redditi e che il versamento dell’imposta sostitutiva venga effettuato entro il termine per il versamento a saldo delle imposte sui redditi.

 

Inoltre, il comma 4 chiarisce che per quanto riguarda l’accertamento, la riscossione, le sanzioni e il contenzioso, si applicano le disposizioni ordinarie in materia di imposte dirette.

 

Ciò premesso, per permettere il versamento dell’imposta sostitutiva mediante modello F24, l’Agenzia delle entrate ha istituito il codice tributo “1863” denominato “Imposta sostitutiva dell’IRPEF e delle addizionali regionali e comunali sui redditi percepiti in Svizzera dai lavoratori dipendenti frontalieri – art. 6 del decreto-legge 9 agosto 2024, n. 113”.

 

In sede di compilazione del modello F24, tale codice tributo è esposto nella sezione “Erario”, in corrispondenza delle somme indicate nella colonna “importi a debito versati” e quale “Anno di riferimento” l’anno d’imposta per cui si effettua il versamento, nel formato “AAAA”.

 

Approvato modello comunicazione dati per concordato preventivo biennale

Approvato il modello per la comunicazione dei dati necessari all’elaborazione della proposta di concordato preventivo biennale per i periodi d’imposta 2025 e 2026 (Agenzia delle entrate, provvedimento 9 aprile , n, 172928). 

Il D.Lgs. n. 13/2024, sulla base della delega al Governo per la riforma fiscale (articolo 17 comma 2 della L. n. 111/2023), ha previsto che, al fine di razionalizzare gli obblighi dichiarativi e di favorire l’adempimento spontaneo, i contribuenti di minori dimensioni, titolari di reddito di impresa e di lavoro autonomo derivante dall’esercizio di arti e professioni residenti che svolgono attività nel territorio dello Stato, possono accedere a un concordato preventivo biennale e che la proposta di concordato è elaborata dall’Agenzia delle entrate, in coerenza con i dati dichiarati dal contribuente.

 

Pertanto, l’Agenzia ha approvato il modello con cui i contribuenti che applicano gli indici sintetici di affidabilità fiscale possono comunicare i dati rilevanti ai fini della elaborazione della proposta di concordato preventivo biennale per i periodi d’imposta 2025 e 2026 e la relativa accettazione.

 

Tale modello, reso disponibile gratuitamente in formato elettronico sul sito dell’Agenzia, deve essere presentato esclusivamente dai contribuenti che nel periodo d’imposta 2024 hanno esercitato, in via prevalente, una delle attività economiche del settore dell’agricoltura, delle manifatture, dei servizi, delle attività professionali e del commercio per le quali risultano approvati gli indici sintetici di affidabilità fiscale, tenuti all’applicazione degli stessi per il medesimo periodo d’imposta e che intendono aderire alla proposta di concordato preventivo biennale per i periodi d’imposta 2025 e 2026.

 

L’Agenzia evidenzia che la trasmissione del modello deve avvenire esclusivamente per via telematica attraverso il servizio Entratel o il servizio Fisconline o in alternativa, avvalendosi di soggetti incaricati, come previsto dall’articolo 3, commi 2-bis e 3, del D.P.R. n. 322/1998.

Nuova classificazione ATECO 2025: i chiarimenti del Fisco

Al fine di recepire la nuova classificazione ATECO 2025, attiva dal 1° aprile 2025, l’Agenzia delle entrate ha adeguato le funzioni di acquisizione dei dati anagrafici e dei modelli dichiarativi (Agenzia delle entrate, risoluzione 8 aprile 2025, n. 24/E).

I contribuenti possono verificare i codici ATECO, sia prevalenti che secondari, associati alla propria posizione fiscale accedendo alla loro area riservata sul sito dell’Agenzia delle entrate e consultando la sezione “Cassetto fiscale – Consultazioni – Anagrafica”. L’accesso è consentito tramite credenziali SPID, Carta nazionale dei servizi (CNS), Carta d’identità elettronica (CIE) o, per i titolari di partita IVA, tramite credenziali Entratel/Fisconline.

 

A partire dal 1° aprile 2025, dunque, tutti gli operatori interessati dall’aggiornamento dei codici attività sono tenuti a utilizzare i nuovi codici negli atti e nelle dichiarazioni da presentare all’Agenzia delle entrate.

 

In particolare, per le dichiarazioni IVA 2025 presentate dal 1° aprile 2025, i contribuenti possono indicare i codici ATECO 2007 (aggiornamento 2022), oppure i “nuovi” codici ATECO 2025, avendo cura di riportare il codice 1 nella casella “Situazioni particolari” presente nel frontespizio del modello.

 

L’adozione della nuova classificazione ATECO 2025 non comporta l’obbligo di presentare la dichiarazione di variazione dei dati. Tuttavia, il contribuente, in occasione della presentazione della prima dichiarazione di variazione dei dati,  oppure se previsto da specifiche disposizioni normative o regolamentari, deve comunicare i codici delle attività esercitate coerentemente con la nuova classificazione ATECO 2025. Un esempio è la comunicazione necessaria per la fruizione del credito d’imposta ZES unica, secondo il provvedimento dell’Agenzia delle entrate del 31 gennaio 2025.

 

Se il contribuente è iscritto nel Registro delle Imprese, la variazione dei dati dovrà essere effettuata tramite la Comunicazione Unica (ComUnica) fornita da Unioncamere; in caso contrario, dovrà utilizzare uno dei modelli disponibili sul sito dell’Agenzia delle entrate, come il modello AA5/6 o AA7/10 per soggetti diversi dalle persone fisiche, il modello AA9/12 per le persone fisiche e il modello ANR/3 per l’identificazione diretta ai fini IVA dei soggetti non residenti.

Regime fiscale del contributo erogato per la riduzione del canone di locazione

Arriva all’Agenzia delle entrate una richiesta di chiarimenti da parte di un Istante che ha stipulato un contratto di “locazione concordato” ed ha intenzione di richiedere un contributo a valere sul fondo di rinegoziazione dei contratti di locazione a fronte della riduzione del canone (Agenzia delle entrate, risposta 8 aprile 2025, n. 91).

Per accedere a tale contributo, l’Istante deve formalizzare la riduzione del canone attraverso una scrittura privata tra le parti e la registrazione dell’atto presso l’Agenzia delle entrate, utilizzando la modulistica RLI.

Ciò posto, l’Istante che ha assoggettato il canone di locazione alla cedolare secca, chiede se tale regime possa essere applicato anche al contributo erogato dal Comune a fronte della riduzione del canone dovuto dal conduttore.

 

L’Agenzia spiega che sono beneficiari diretti del contributo i proprietari di alloggi situati nel territorio regionale che abbiano rinegoziato il contratto di locazione, secondo determinati criteri. Sono, invece, beneficiari indiretti i conduttori di alloggi situati nel territorio regionale.

In particolare, per l’ammissione al contributo, al momento della presentazione della domanda è previsto, tra l’altro, che venga stipulato un atto di rinegoziazione tra le parti e che lo stesso sia sottoposto alla registrazione.

La riduzione deve essere di almeno il 20% ed applicata per una durata minima non inferiore a 6 mesi. Il canone mensile rinegoziato non può comunque essere superiore a € 800,00.

 

Sotto il profilo fiscale, l’Agenzia osserva che con riferimento alla determinazione del reddito dei fabbricati l’articolo 37, del testo TUIR prevede, al comma 1 che «Il reddito medio ordinario delle unità immobiliari è determinato mediante l’applicazione delle tariffe d’estimo, stabilite secondo le norme della legge catastale per ciascuna categoria e classe, ovvero, per i fabbricati a destinazione speciale o particolare, mediante stima diretta». Con riferimento agli immobili, concessi in locazione, il successivo comma 4bis stabilisce che «Qualora il canone risultante dal contratto di locazione, ridotto forfetariamente del 5 per cento, sia superiore al reddito medio ordinario di cui al comma 1, il reddito è determinato in misura pari a quella del canone di locazione al netto di tale riduzione. Per i fabbricati siti nella città di Venezia centro e nelle isole della Giudecca, di Murano e di Burano, la riduzione è elevata al 25 per cento».

 

In alternativa alle regole di tassazione ordinaria, inoltre, è possibile applicare il regime sostitutivo della cedolare secca al ricorrere dei requisiti previsti.

Come chiarito con la risposta n. 597, pubblicata il 16 settembre/2021, tale regime, con aliquota ridotta, si applica con riferimento ai contratti di locazione di unità immobiliari ubicate nei Comuni con carenze di disponibilità abitative e negli altri Comuni individuati ad alta tensione abitativa, stipulati a ”canone concordato” sulla base di appositi accordi tra le organizzazioni della proprietà edilizia e degli inquilini.

 

L’articolo 6, comma 2, del TUIR prevede che i proventi conseguiti in sostituzione di redditi, e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti. Gli interessi moratori e gli interessi per dilazione di pagamento costituiscono redditi della stessa categoria di quelli da cui derivano i crediti su cui tali interessi sono maturati.

In linea generale, qualora l’indennizzo percepito da un determinato soggetto vada a compensare in via integrativa o sostitutiva, la mancata percezione di redditi di lavoro ovvero il mancato guadagno, le somme corrisposte sono da considerarsi dirette a sostituire un reddito non conseguito (lucro cessante) e conseguentemente vanno ricomprese nel reddito complessivo del soggetto percipiente ed assoggettate a tassazione.

Nel caso di specie, dunque, considerato che il contributo viene erogato dal Comune, a fronte della riduzione del canone di locazione da parte del locatore, in quanto conseguito in sostituzione ed integrazione del canone del percipiente, lo stesso costituisce reddito della stessa categoria e deve, pertanto, essere assunto ai fini della determinazione del reddito fondiario derivante da immobili locati, ai sensi dell’articolo 36 del TUIR da determinare, in via ordinaria, secondo i criteri generali previsti dal successivo articolo 37.