Licenziata la cassiera che si appropria dei punti fedeltà


 


È legittimo il licenziamento in tronco della cassiera che, durante il suo turno di lavoro, aveva utilizzato la propria tessera, nel corso di transazioni effettuate con clienti che ne erano sprovvisti, al fine di accumulare illecitamente punti fedeltà, utilizzati per pagare i suoi acquisti personali (Corte di Cassazione, Sentenza 10 maggio 2022, n. 14760).


Il caso ha ad oggetto il licenziamento in tronco intimato dalla società datrice di lavoro alla propria dipendente, addetta con mansioni di cassiera, perché, a seguito di accertamenti effettuati dall’Ufficio Sicurezza, era emerso che la predetta, durante il suo turno di lavoro in cassa, aveva utilizzato la tessera fedeltà a lei in uso, ripetutamente nella stessa giornata, nel corso di transazioni effettuate con clienti privi di tessera.
In tal modo la dipendente aveva accumulato illecitamente punti fedeltà, poi utilizzati per pagare i suoi acquisti personali, erogando, altresì, sconti non dovuti a clienti non aderenti al programma fedeltà.


La Corte di appello territoriale, riformando la pronuncia di primo grado, rigettava l’impugnativa di licenziamento proposta dalla lavoratrice, giudicando particolarmente gravi i fatti accertati, tali da ledere in modo irreversibile il rapporto fiduciario, deducendone, dunque, la proporzionalità della sanzione espulsiva.


Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione la lavoratrice, sostenendo, in particolare, che tutti i fatti ad essa addebitati dalla società non risultassero provati, anche tenuto conto della circostanza che, in caso di sostituzione, altri addetti operavano senza cambiare il codice operatore e che non fosse stata raggiunta la prova circa la riconducibilità alla stessa lavoratrice delle presunte operazioni oggetto della contestazione.


La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendo che la Corte di merito avesse correttamente ritenuto provato che la lavoratrice, nei giorni e negli orari oggetto della contestazione disciplinare, era addetta alla cassa.
Sul punto la stessa ha specificato che non fosse sufficiente ad escludere la sua responsabilità per i fatti addebitati l’affermazione che la dipendente in questione si fosse alzata dalla postazione della cassa, occorrendo, piuttosto, che la stessa dimostrasse chi l’avesse sostituita, essendo a suo carico l’obbligo di fornire una prova contraria, rispetto a circostanza già ritenute comprovanti la sua colpevolezza.
I Giudici, hanno, inoltre, ritenuto condivisibili le conclusioni dalla Corte territoriale, che aveva reputato i fatti commessi dalla lavoratrice tanto gravi da ledere irrimediabilmente il rapporto fiduciario, indipendentemente dal valore dei beni da questa acquistati personalmente.
La sanzione espulsiva del licenziamento è stata, in conclusione, valutata proporzionata anche alla luce della prognosi futura di comportamenti improntati al rispetto e alla correttezza degli obblighi aziendali discendenti dal particolare rapporto di lavoro esistente tra le parti.

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